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Gabbia degli schiavi

LA MIA VITA DA SCHIAVO

3. ISPEZIONE

Terminai ben presto di rasare la nuca e le tempie di Roberto e poco dopo il suo taglio era bello che terminato. Tuttavia con gli occhi di Erik su di me per tutto il tempo lavorare era diventato difficile: ero agitato e assai eccitato allo stesso tempo…le mie mutande erano fastidiosamente umide e il cazzo eccitato lottava per poter uscire.

“Ho finito, Roberto. Va bene così?”, domandai alla fine.

“Grande! Luca, sei veramente bravo…che sensazione di…di…”  poi alzando la voce e girandosi verso le poltroncine del salottino d’attesa: “Hey, Erik! Tosto vero?” 

Evidentemente quei due si erano già conosciuti, probabilmente nella palestra che tutti e tre frequentavamo.

“Molto, molto carino” rispose Erik, e sorridendo gli disse “quella zazzera di prima proprio non era un granchè”.

Mi domandai se quei due si conoscessero meglio di quanto avessi supposto in un primo momento. Mi balenò davanti agli occhi la scena di Erik sotto la doccia della palestra nudo che teneva le mani sulla testa di un ragazzo e il suo grosso pene ficcato nella sua bocca. Tuttavia i capelli del giovane che si intravedevano fra le dita di Erik erano neri e spessi e non biondi, la sua carnagione scura:  questa volta il ragazzo non ero io, ma Roberto! Nella visione i due sembravano godere molto, moltissimo e mi sentì prendere da una vampata di irrazionale gelosia.

Immerso in questi pensieri presi i soldi di Roberto e lo osservai uscire salutando ancora una volta Erik.

“Ok, Luca, possiamo procedere” mi richiamò Erik già seduto sulla sedia. “Voglio due cose da te: primo, una rasata ai capelli e aggiustatine al pizzetto e ai baffi. Secondo, che tu venga da me stasera, così possiamo cenare assieme e riprendere nella nottata quel discorso che avevamo interrotto settimana scorsa…” e dicendo queste ultime parole si voltò verso di me guardandomi con una chiara aria di desiderio negli occhi.

“Non vedevo l’ora di rivederti” dissi eccitato, “ho pensato a te tutta la settimana.”

“Ok, ok, piccoletto. Se stasera vieni inizieremo con una prima lezione su ciò che mi aspetto da te.”

“Come nella palestra l’altra settimana?” lo interruppi.

“No. Quello era solo un ‘antipasto’. Sarà molto, molto…meglio” disse sorridendo sornionamente. “Allora vieni?”

In quel momento lo guardai e con il ricordo ancora fresco della scopata sotto la doccia della palestra e le mutande fradice e il cazzo in tiro, non seppi resistere alla tentazione, pregustando nuovi perversi piaceri…”Certo che vengo” dissi con trasporto “A che ora?”

“Alle otto e mezza. E ora forza, vediamo come te la cavi, piccolo barbiere!” rispose con un sorriso.

***

Erano le otto e venti. Alla fine dell’orario di lavoro ero letteralmente schizzato a casa. Mi ero lavato, cambiato, cercando i vestiti che pensavo mi stessero meglio, e avevo inforcato il mio motorino verso la casa di Erik. Dalle indicazioni che mi aveva dato essa si trovava fuori dal centro in una piccola frazione a circa quattro chilometri, vicino al fiume, così ero dovuto partire un po’ prima.

Mentre viaggiavo, ripensai al pomeriggio…

Erik non era stato di molte parole, mentre gli avevo tagliato i capelli e aggiustato la barba e i baffi. Per tutto il tempo aveva continuato ad osservarmi scrupolosamente mentre lavoravo. Mi guardava sullo specchio posto davanti: da capo a piedi. In particolare il suo sguardo si soffermava spesso sulla zona dove il mio pene eccitato produceva negli stretti jeans un rigonfiamento poco nascondibile. In questo modo mi sentivo ancor più eccitato, anche se al contempo un po’ a disagio. Un disagio questo che cresceva quando spesso lo sorprendevo a fissarmi negli occhi in muto silenzio e con aria pensierosa.

Non era durato a lungo. Erik aveva voluto un taglio semplice, molto corto, che si era risolto sostanzialmente con pochi passaggi della macchinetta. Dopo mi aveva spiegato come raggiungere casa sua e ci eravamo lasciati in tutta fretta perché aveva un qualche impegno di lavoro… in effetti, pensai, non sapevo neanche che lavoro facesse. Poi, non aveva detto di essere in vacanza?

Comunque accantonai questi problemi perché ero giunto all’indirizzo che mi aveva segalato: Via della Brughiera, 4. La casa era una villetta bianca un po’ isolata ai margini della frazione. Vicine, a un centinaio di metri, solamente delle case a schiera, sulla stessa strada che portava dopo una discesa al fiume.

Mi fermai davanti al cancello, verde e un po’ macchiato di ruggine e suonai il campanello. Nella casa non si vedeva alcuna luce. Attesi. Il giardino sembrava trasandato e infestato dalle erbacce…ma, dopotutto, come mi aveva detto, era generalmente via per lavoro e a casa solo da pochi giorni.

Dopo un paio di minuti si accese una luce e poi una voce al videocitofono disse: “Ciao, Luca. Ti apro entra pure”. Il cancello si aprì e avanzai per il giardino fino alla porta sulla cui soglia si stagliava la sagoma nera di Erik.

***

Dopo una breve cena, in cui Erik volle sapere tutto su di me e sulla mia famiglia, ci trasferimmo nel salotto.

“Ok, Luca. E’ ora di iniziare la prima lezione. Vuoi ancora essere la mia puttanella vero?” disse cambiando improvvisamente discorso e facendosi serio.

“Si, Erik.” Dissi stupito, ma eccitato dal cambiamento di programma. “Cosa devo fare?”

“Primo, non parlare più se non ti faccio una domanda specifica” disse irritato, “secondo, mentre vado di là a mettermi un vestito più…”adatto”, spogliati! Al mio ritorno ti voglio completamente nudo. Intesi!?!”. Detto questo si girò di scatto e andò in un altro locale.

Rimasi un attimo perplesso, poi desideroso di sesso, ed eccitato dalla voce rude di Erik, presi a spogliarmi. Mi tolsi camicia, pantaloni, scarpe, magliettina, calze e mutande e gettai tutto su di una poltrona ai lati della sala. Poi attesi ansioso sulla poltrona guardandomi il cazzo che iniziava a gonfiarsi e giochicchiando nervosamente con i peli del pube.

Quando rientrò Erik rimasi colto da stupore. Era completamente vestito in pelle nera. Stivali alti e lucidissimi ai piedi e  dei pantaloni attillati con una apertura in fronte da cui avvolti da una reticella trasparente si potevano intravedere il suo cazzo e le sue palle. Di sopra portava un gilet di cuoio con borchie di metallo argento sotto cui si intravedevano delle cinghie di pelle nera anch’esse. Ai polsi dei bracciali di pelle borchiati.

“Alzati, puttanella!” mi intimò appena entrato. Obbedi all’istante.

“In piedi sull’attenti!”. Lo assecondai.

 “Ok, Luca, da qui inizia la nostra lezione. Prima di procedere voglio chiarire due cose. Primo, ora tu sei uno schiavetto e io sono il tuo padrone e maestro. Pertanto d’ora in poi mi chiamerai sempre o Padrone o Signore, quando sarai interrogato. Secondo, se vogliamo essere seri  e divertirci veramente da questo istante mi obbedirai senza fiatare. Chiaro, schiavo!?!”.

“Sì, padrone” dissi deglutendo.

“Ok, ora andiamo di sotto nella sala giochi, animale, così iniziamo con una ispezione del tuo corpo”, e mi indicò una scala che scendeva al lato della porta della cucina.

Scesi.

***

            La "sala giochi" era stata ricavata dalla tavernetta della villa, uno spazio di una cinquantina di metri quadri nel seminterrato. L'ambiente verniciato di fresco presentava una volta a botte in mattoni a vista da cui pendevano numerosi ganci e catene. Appese alle pareti, di colore bianco, numerosi strumenti di tortura, palette, frustini, manette, collari di metallo e un'infinità di altri ammenicoli di cui non conoscevo, o forse non volevo immaginare, il possibile utilizzo. In fondo alla stanza due porte. Una semiaperta dava chiaramente su di un bagno.

            Provai un senso di timore e al contempo di attrazione. Deglutii più volte mentre la mia pelle nuda rabbrividiva nell'ambiente fresco della stanza. Al contempo tuttavia il mio pene eccitato iniziava ad inturgidirsi.

            "Fermati lì, puttanella, in mezzo alla stanza!" mi apostrofò Erik indicandomi un punto preciso sul pavimento "Mani dietro alla nuca e non una paraola. Iniziamo con l'ispezione!".

            Detto questo mi si avvicinò e inizio a tastarmi le cosce delle gambe come a sentire la consistenza dei muscoli, talvolta pizzicandomi volutamente nell'operazione. Poi mi pose la mano contro gli addominali per saggiarne la durezza. Io cercavo di restare immobile con gli occhi fissi davanti a me e le mani incrociate sulla nuca, dove i capelli iniziavano a sudare per la tensione. La sensazione del corpo di Erik vicino a me, delle sue mani che mi tastavano senza alcuna inibizione, come se stesse esaminando un divano nuovo da acquistare o un cane di razza presso un allevamento erano intensissime. In quel momento ero come un oggetto per lui, eppure non riuscivo a fare a meno di sentirmi considerato, utile, come forse non mi ero mai sentito da tempo in vita mia.

            Di colpo senti le sue mani stringermi il sedere ripetutamente, mentre le sue braccia mi circondavano e sentivo il suo fiato sul mio collo. Le sue mani risalirono lungo la mia schiena fino al trapezio e ai deltoidi estremamente duri per la tensione del momento. Di colpo Erik ordinò "Mani dietro alla schiena!" e poi mi afferrò il mento sollevandolo e muovendolo prima a destra poi a sinistra.

            "Abbassa lo sguardo in presenza del padrone, lurido animale! Chi ti credi di essere?" disse irato, poichè continuavo a fissarlo.

            Obbedì e lui proseguii, passandomi la mano fra i capelli un poco umidicci e borbottando: "Che schifo! E si che sei un barbiere...Un vero schiavo non può permettersi capelli così lunghi. Cosa cavolo credi di essere? Una modella?".

            In effetti non mi era mai sembrato di portare i capelli lunghi. Erano al massimo di 5-6 cm, visto che non li tagliavo da un mesetto. Ma ripensando agli apprezzamenti che aveva fatto a Roberto nel pomeriggio e al taglio che aveva richiesto compresi che qualunque lunghezza superiore al centimetro per Erik doveva essere considerato "troppo lunga".

            "La prima cosa a cui procederemo dopo la visita sarà una bella rasatura!", poi facendo un passo indietro e guardandomi da capo a piedi aggiunse, mentre fissava la zona del mio pube: "...e non solo dei capelli, animale...Un buono schiavetto mi piace opportunamente depilato in ogni sua parte...", mi afferrò pene e palle e concluse con un sorriso beffardo: "specialmente questa qui."

            "Apri la bocca, cane!". Obbedii e lui me la allargò con le mani e mi guardò dentro per vedere i denti. In quel momento mi ritornarono in mente le lezioni di storia alle scuole medie. Mi figurai dei giovani negri muscolosi e completamente ignudi che in catene venivano esaminati dai negrieri bianchi prima di essere imbarcati sulle navi per le Americhe. Provai come allora un brivido al pensiero di quei giovani sudati, stanchi, degradati al livello di animali pronti ad essere stivati uno sopra l'altro nei ventri neri delle navi. Pensai di essere in una situazione simile, ma subito mi tranquillizzai ripetendomi che io e Erik stavamo solo giocando. Un gioco strano e perverso forse, ma solo un gioco.

            L'ispezione sembrava terminata quando Erik disse: "Per finire, puttanella, vediamo come stà messo il tuo buco del culo. Da quanto mi ricordo dall'ultima volta era proprio strettino strettino. Chinati in avanti e culo in aria!"

             Mi piegai in avanti con le braccia e mi girai presentando il mio sedere completamente esposto all'attenzione di Erik. Per un attimo non sentii niente, poi di colpo sentii un dito di Erik che si forzava il passaggio nel mio buco del culo. "Bhè almeno uno ci passa!" esclamò soddisfatto, con aria un po' ironica. "Vediamo se puoi fare meglio"

            Lo sentii allontanarsi e armeggiare in un cassetto di un tavolo lì vicino. Iniziai a sentirmi un po' in apprensione quando di colpo sentii un oggetto duro e gommoso spingere per entrare nel mio culo. La sua superficie era scivolosa come se fosse stata ricoperta di un lubrificante. Molto lentamente me lo sentii penetrare su su dentro il retto fino a quando non emisi un piccolo gemito di dolore.

            "Due centimetri di diametro, 12 di profondità." Esclamò Erik  fermandosi. "Ma puoi fare meglio, troietta", aggiunse togliendo repentinamente il dildo dal mio culo. Non potei fare a meno di gemere più fortemente e sbilanciarmi in avanti.

            "CAZZO! Non muoverti puttana!!!" gridò Erik di colpo e spingendomi in basso con una mano la testa con l'altra mi assestò una serie di manate sul sedere. Una, due, tre, quattro: "Cazzo, Luca! Piccolo imbecille di un cane! Non osare lamentarti per così poco! Intesi? INTESI???"

             Mentre il mio culo iniziava a bruciare sotto i suoi colpi sempre più forti, supplicai: "...si, si. Basta, baaasta!"

            "COSA CAZZO HAI DETTO!?! COSA CAZZO HAI DETTO!!!???!!!" e prese a battermi più forte colpendo anche lo scroto esposto e ben visibile.

            "Si, si, padrone. Padrone, sarò buono...un buono schiavo..." presi a implorare. E di colpo le sculacciate smisero.

            "Ok. Per ora basta. Ma la prossima volta non sarò così clemente" e dicendo questo mi scompigliò i capelli. Poi disse calmo "Resta piegato che finiamo l'ispezione."

            Durante le sue botte mi era ritornato in mente mio padre, quando tornando a casa ubriaco la sera mi picchiava o mi prendeva a cinghiate. Ma non era la stessa cosa. Non saprei come spiegarlo ma ora sentivo come di averle meritate, di avere disobbedito al padrone. In fondo era giusto, normale, altrimenti come si poteva rendere il gioco credibile. Con mio padre era stato diverso. Lui era MIO PADRE, non avrebbe dovuto toccarmi, non avrebbe dovuto MAI sfogare su di me le sue frustrazioni, le sue miserie...

            In quel momento un dildo più grosso si fece strada nel mio ano. Lentamente, con grande difficoltà veniva spinto, nel tentativo di dilatare il mio buchetto da ragazzino. Poi di colpo rallentò e si fermò.

            "Ok, basta così. Avremo tempo di migliorare. Tre centimetri di diametro, solo 6 di profondità", poi allontanandosi e andando verso il bagno esclamò: "Che schifo, sei pieno di merda. Bisogna che ti abitui a farti dei clisteri, prima dei nostri incontri...".

            Sparì dietro la porta e fu di ritorno subito dopo. "Ok, bella troietta. Alzati! Come animale non sei niente male. Ti occorre solo un po' di "manutenzione" e poi saraì uno schiavetto perfetto. Pronto, pronto per iniziare l'allenamento", disse con aria evidentemente compiaciuta.

            "Dai forza, Luca. Stenditi su quel tavolo che inizio a depilarti!" e così dicendo mi indicò un grosso tavolo in fondo alla stanza.

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