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IL
MARCHIO DELLA GALERA
II
PARTE
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-Allora stronzetto! Hai perso la
parola? Cosa cazzo hai da guardare?
-Niente!
Rispose quasi senza accorgersene.
L'altro lo guardò ghignando.
-Ah, allora ce l'hai la lingua! E
la usi solo per dire stronzate?
Seguì un'altra risata che Vittorio non seppe
giustificare.
-Sei quello che è stato pescato
con la roba vero? E' un da due giorni che se ne sente
parlare… T'è andata male eh?! stronzo! La prossima volta
cosa farai? Ruberai galline?
-Non ci sarà una prossima
volta.
Rispose quasi fra sé il ragazzo, stringendo
impercettibilmente i pugni
-Ah no è? Si dicono tutti così e
poi inizia un avanti e indietro… Ci prendono gusto! Sembra
quasi che non possano fare più a meno di star dentro! E
comunque non fare tanto il gradasso con me, stronzo!
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Si alzò stirandosi come se avesse appena fatto
la più rilassante delle dormite.
-Quanti anni hai? Ehi piccolo
idiota guardami quando ti parlo!
-Venti.
-Venti! Sentite! Non sapevo che
quelli della tua età - pronunciò età con
malcelato disprezzo - li mettessero
qui! E chi ti aspetta lì di fuori? La ragazza? Il pappone?
Vittorio non rispose, accenno un "no" con la
testa.
-Meglio così! Quando entri nessuno
vuole più saperne delle merde come te… e come me!
Cosa? Aveva sentito bene? Si stava riferendo a se
stesso? Non avrebbe mai pensato che un essere come quello
avrebbe potuto assimilarlo a se, se non altro perché
pensava che anche all'interno della peggior feccia vivente
ci fosse una gerarchia. Lui era appena arrivato in gattabuia
e quell'essere dall'aria che vissuta sarebbe dire poco lo
stava cercando di farlo sentire… "dei nostri"!
Rimase zitto e l'altro gli si avvicinò.
-Ed è molto meglio che non ti
aspetta nessuno, credimi! Nessuna ti vorrebbe più dopo che
esci da qui come un fottuto rotto in culo… ed anche tu non
vorrai altro che fartelo sfondare!
Gli rise in faccia e lui sentì sul volto il suo
disgustoso alito caldo.
-Qui nessuno mi chiama per nome. Ma
tutti mi chiamano Stringo, perché quando afferro una cosa
non la mollo più finché non ne ho fatto quello che voglio!
E dicendo questo lo afferrò per la nuca.
Vittorio era immobilizzato dalla rabbia e dall'impotenza.
Sentì la presa sul collo frasi più serrata e un gemito gli
sfuggì.
-Ti fa male carino? Forse non sei
abituato alle carezze? Preferisci i baci?
E ghignando lo afferrò per i capelli e lo spinse
verso di sé leccandogli la guancia destra.
Il ragazzo non seppe che fare ma capì che la cosa migliore
era mantenere la calma.
La scena fu interrotta dal rumore di alcuni passi e da
qualche voce dal corridoio.
La guardia era tornata e portava con se un uomo. Arrivato
davanti la loro cella fu uno sferragliare di cancellate e
poi si ritrovarono in tre. Il tizio non sembrava italiano,
aveva la carnagione scura ed i capelli sistemati in piccole
treccine.
-Strano per un detenuto
pensò Vittorio.
Ma quando lo sentì parlare capì che era evidentemente
cresciuto nel loro paese e che aveva probabilmente solo
origini mediorientali.
-Ehi Stringo, è lui che stavano aspettando da due
giorni? Lo spacciatore?
Chiese al sinistro compare.
-Esatto e pare che ci farà
compagnia per un annetto. Che te ne pare?
-Svezzato?
Chiese il mulatto.
-Che … cosa?
Rispose a mezza voce Vittorio.
-Niente, lascia perdere pivello!
Allora non gli è stato… ehm… anticipato nulla?
Stringo lo fulminò con uno sguardo.
-Fanculo a te Africa! Si, l'ha
capito che deve rigare se non vuole rimetterci un orecchio…
o le palle!
Concluse la frase con una risata.
Il tono della sua voce non era affatto sembrato credibile al
giovane. Vittorio capì che doveva esserci qualcosa sotto
che non aveva ancora capito. Ebbe timore.
-La tua cuccia è quella!
Stringo gli indicò il letto sulla sinistra
-Ora vedi di non starci qui tra le
palle!
Vittorio mosse un passo verso la finestra e i due
si scambiarono qualcosa.
-L'hai preso Africa?
-Si! Non è stato affatto
facile ma alla fine quello delle cucine me lo ha dato!
E consegnò all'altro un panetto di burro, di
quello piccoli che a volte si trovano a colazione in certi
alberghi. Il pacchetto sparì nella tasca di Stringo.
-Vedrai…
continuò il moro che a quanto pare era noto come
Africa
-…non poi così male! Un modo o
un altro per far passare il tempo lo trovi! E se non lo
trovi tu ti aiuta Africa!
Vittorio si girò verso di lui appena in tempo
per vedere che, seduto sul letto più basso, Africa si era
abbassato un po' i pantaloni della divisa grigia e gli stava
sventolando l'uccello.
-Lasciami stare. Non sono come
credi!
-Oh ma davvero? La signorina
non è come crediamo! Ma lo sai bello che qui nessuno è
come credi… ma prima o poi qualcosa ti tocca farla… e se
non la fai tu te la fa qualcun' altro!
Si alzò sempre sogghignando e, sempre con
l'uccello bene in vista fuori dai pantaloni si avvicinò a
Vittorio.
-Vattene, Africa!
-Oh! La signorina ha imparato il mio
nome! E tu come ti chiami? No aspetta non mi frega niente
del tuo stronzo nome né del cognome che avrai preso da
qualche lurido vecchio fracico sotto terra… Per me sei
Culo! Ah ah! Si culo! Che ne dici Stri'?
Il più vecchio dei tre fece cenno di si.
-Meraviglioso! Da ora per me, per
noi, sei Culo! Avanti culo, fammi vedere cosa sai fare! Non
è difficile vedrai…
In piedi davanti a Vittorio batteva su e giù il
suo lungo uccello scuro quasi di fronte la faccia di
Vittorio; nei suoi occhi si leggeva più esibizionismo che
libidine.
-Smettila idiota! Non è il
momento, ora…
Vittorio trasalì: non era il momento… ora? Lo
sarebbe mai stato?
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